Il giovane Christian Bergantin, occhi scuri e pensosi per uno sguardo greve, a dirci di una sofferenza interiore, dipinge “perché voglio capire, interpretare il mio dolore”, confessa con un'incrinatura nella voce. Agli inizi fui particolarmente attratto dalla pittura del veneziano Emilio Vedova per il nero delle sue composizioni geometriche, i collages, ma trovo a me congeniale anche il cromatismo raffinato, surrealista, astratto dello statunitense Pollock. E Christian con le opere in mostra ci fa conoscere la faccia angosciosa dell'esistere. Di quando l'uomo nella competizione del vivere trova ostacoli esterni ed interni, e il rosso ed il blu si tramutano nel nero, nel buio. Le composizioni mostrano un'interiorità graffiata, sofferente imprigionata, i sentimenti affiorano velati, confusi costretti in grate, reticoli spinati. Eppure dalla macchia nera, dal fondo oscuro affiorano mansuetudine e dolcezza: cromatismi sfumati, e tra le ombreggiature abbozzi di luce. Apre il percorso un quadro dal titolo: ”Stati d'animo”, un intreccio di linee, ghirigori neri sfregiano un fondo di quieto ocra, pensieri cupi, è l'uomo senza meta, un'iniziale sofferenza che segna l'animo e la mente. Il disperato disorientamento può essere arginato, sublimato con l'arte. Gli affetti familiari, la casa, i piccoli grandi oggetti che ci circondano diventano ancore, punti fermi per dare un senso all'esistere. Bergantin raccoglie cartoni, plastica, stoffa, materiali vicini, i più comuni, poveri e li ricompone in collages che impasta, amalgama, maschera sapientemente con pennellate di variegati colori. Oggetti dimenticati, sfregiati, recuperati per una nuova identità, trasformati dalla capacità creativa, in preziosi amuleti per lenire dolore e asciugare le profonde ferite. Significativi i titoli di alcune sue tele: Muri di prigione, Il ciclo dei perché, La povertà, Tracce.   Aurora Gardin

Bergantin, dal canto suo, elabora forme non definibili a parole. Sulla superficie traccia dei segni arricchiti di colori, e progressivamente questi segni acquistano una consistenza materica che li rinforza sempre più creando spessori e contrasti che rendono la traccia del segno più incisiva, quasi lacerante, fino al ricorso dell'intonaco graffiato e vien da dire, violentato. L'uso di materiali diversi dai soli colori diventa un fatto espressivo determinante: è la materialità della vita quotidiana che si pone come antagonista all'uomo che aspira a un'esistenza totalmente libera, sebbene il problema di fondo della condizione umana sia proprio nel trovare il senso di un rapporto dialettico -non necessariamente conflittuale- fra materia e spirito. Nel suo caso il riferimento alle forme che possiamo vedere quotidianamente è estremamente diretto: un pezzo di cartone da imballaggio strappato o una superficie trattata ad intonaco sono esperienze che facciamo quotidianamente, ma generalmente non ce ne rendiamo conto. Usare materiali di questo genere, di per sé poveri, e aggredirli con gesti di cui possiamo conoscere solo la traccia ma che possiamo ricostruire nella nostra fantasia ci fa reagire emotivamente, e la sensazione che proviamo ci si svela metafora di quotidiane situazioni di vita: quante volte abbiamo l'impressione di sentirci costretti ad aggredire la realtà che abbiamo davanti e che sembra rifiutarsi ad una soluzione pacifica? Ma chi ha detto che una soluzione di forza sia inevitabilmente negativa? Prendendo confidenza con opere come queste ci si può accorgere che l'impressione aggressiva si stempera in una visione estetica, cioè dotata di una propria armonia interiore: e questa può farci meditare sul modo con cui noi interpretiamo la cosiddetta “realtà”.   Leobaldo Traniello

I lavori di Christian Bergantin nascono dall’attrito che la vita oppone al nostro esistere: siamo tutti vittime di questo mondo recitava De Andrè: condannati a vivere. Il rimedio edonistico che questa società propone e ci riversa addosso non basta a chetare o peggio sedare l’animo di Bergantin, Christian ha bisogno di sapere, capire, indagare lo spirito che alberga negli animi umani, cercare quel qualcosa che sfugge e lo ricerca con la pittura. Dal fermento interiore sgorga il magma che plasma e anima le sue opere, le mani obbediscono alle pulsioni dettate da un immaginifico medium. Bergantin non dà messaggi dipinge il suo mondo; un mondo che chi sa vedere e non solo guardare, coglie con gli occhi e ripone nel cuore.   Claudio Nerva